
Dal “safety and security first” al “work-life balance”
- Posted by Matteo Milanesi
- On 26 Gennaio 2021
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Nell’ultimo secolo il mondo del lavoro è profondamente cambiato e con esso anche le esigenze della forza lavoro che richiede oggi sempre maggiore attenzione al proprio benessere, non solo in termini di sicurezza.
E’ stato stimato che il lavoratore medio passa almeno 90.000 ore della propria vita lavorando, ce lo dicono i dati rilevati dal Global Wellness Institute nel suo report The future of wellness at work, 2016.
Questo studio mette insieme dati sul benessere dei lavoratori raccolti in tutto il mondo, restituendoci una visione d’insieme sullo stato di salute psico-fisica della forza lavoro. Certo, la rilevanza che il benessere dei lavoratori ha per l’azienda e la collettività stessa è questione ormai risalente: fin dagli inizi del secolo scorso imprenditori illuminati come Henry Ford e Adriano Olivetti iniziarono a guardare ai propri dipendenti come la risorsa più preziosa e importante che avevano a disposizione.
E’ infatti nella seconda metà dell’Ottocento che alcuni primi segni di interesse per il benessere dei lavoratori iniziarono a manifestarsi: nel Regno Unito e negli Stati Uniti, a seguito delle proteste dei lavoratori, venne creata la prima legislazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
I tempi e il mondo del lavoro erano estremamente diversi allora e l’interesse principale dei lavoratori e della normativa era concentrato sulla salute, sulla tutela in caso di infortunio sul lavoro, malattia o disabilità.
La predisposizione normativa di una forma di tutela del lavoratore non ebbe però l’effetto di diminuire gli incidenti sul lavoro, ma al contrario fece crescere i costi per l’indennità o i risarcimenti corrisposti ai lavoratori. Serviva quindi un passo ulteriore: nei decenni seguenti, i datori di lavoro iniziarono ad assumersi la responsabilità della sicurezza della forza lavoro producendo macchinari più sicuri, prevedendo l’utilizzo di dispositivi di protezione durante lo svolgimento di attività pericolose, prestando attenzione ai pericoli nascosti delle attività lavorative. Questo fece gradualmente diminuire il numero delle morti e degli incidenti sul lavoro.
Con l’evoluzione della società e del mondo del lavoro, siamo mano a mano passati dall’era industriale all’era dell’informazione: il mondo del lavoro è molto diverso ora rispetto ai tempi delle prime leggi a tutela della salute dei lavoratori. Oggi l’interesse per il benessere del lavoratore comprende anche la salute mentale e il benessere fisico si è evoluto oltre la semplice prevenzione di infortuni e decessi, fino ad incorporare anche la prevenzione da malattie legate ad un’alimentazione scorretta, ad uno stile di vita sedentario, la gestione dello stress, l’equilibrio tra vita personale e lavorativa e molto altro ancora.
Nonostante l’attenzione crescente per i programmi di wellness aziendale nell’ultimo ventennio, ci sono ancora molte voci contrarie che non credono nei benefici e nei vantaggi a lungo termine che un tale interesse degli employers nei confronti dei propri employees possa portare.
Molte iniziative vengono guardate con scetticismo anche dai diretti beneficiari: un sondaggio condotto dal Global Wellness Institute nel 2015 negli Stati Uniti (che in materia si rivela essere quello con il maggior numero di dati raccolti) il 56% dei lavoratori crede che i programmi di welfare vengano proposti dal datore di lavoro al solo fine di tenere sotto controllo i costi per la sanità.
Troppo di frequente, inoltre, si tratta di iniziative isolate ed emergenziali, c.d. band-aid solutions, adottate in risposta ad una specifica situazione e la cui gestione viene affidata al reparto risorse umane. Ideale sarebbe invece l’adozione di un programma di benessere integrato nella cultura e nell’ambiente aziendale, che entri a far parte di ciò che è la mission dell’azienda stessa, un programma che sia davvero preventivo e proattivo e che possa andare a modificare e migliorare lo stile di vita di chi ne beneficia. Come dice il nome stesso, un programma non è un’iniziativa singola, ma è un progetto sul lungo periodo che al suo interno ricomprende diverse iniziative incentrate una volta sulla nutrizione, una volta sulla gestione dello stress o ancora sulla dipendenza da nicotina, da alcool o stupefacenti ecc. Tutto questo deve essere sostenuto da un adeguato piano di comunicazione interna e sensibilizzazione dei lavoratori. Si possono poi prevedere incontri – in piccoli gruppi o one-to-one – per condividere con gli esperti e volendo anche con i colleghi il proprio punto di vista, le difficoltà e i propri traguardi.
Condividere con i colleghi anche le piccole sfide, per esempio modificare le proprie abitudini alimentari o creare piccoli gruppi per svolgere insieme 10 minuti di stretching al giorno, può diventare un ottimo modo per legare con i propri colleghi, creare un clima più collaborativo e indurre davvero un cambiamento più salutare nelle abitudini quotidiane.