Presenzialismo, ovvero andare in ufficio con l’influenza
- Posted by Matteo Milanesi
- On 26 Gennaio 2021
- 0 Comments
Quali possono essere i costi nascosti di un dipendente che si presenta al lavoro con l’influenza? Molti più di quanto immaginiamo. Il malessere dei dipendenti è un costo sottostimato che pesa, ogni anno, in misura sempre maggiore sulle organizzazioni.
In inglese vengono definiti hidden catch tutti quei piccoli problemi nascosti che rendono più difficoltosa e complessa la gestione e la risoluzione di una situazione.
L’ambiente di lavoro, lo sappiamo tutti, è costellato di hidden catch che a volte rendono incredibilmente difficile arrivare alla fine della giornata, lavorare bene e dare il meglio di sé; in italiano potremmo definirle trappole nascoste. Talvolta capita anche che siano così invadenti da superare le barriere dell’ambiente lavorativo per estendere i loro effetti al tempo libero, all’ambiente familiare fino ad intaccare la salute del lavoratore.
Con la crescente attenzione che il mondo del lavoro e i datori di lavoro rivolgono al benessere dei propri dipendenti sono state di recente approfondite dinamiche e fenomeni legati al mondo del lavoro e agli effetti che questo ha sui suoi componenti.
Presenteeism
Negli ultimi anni è andato sempre più affermandosi un fenomeno che viene definito presenteismo (dall’inglese presenteeism): questo, agli antipodi dell’assenteismo, sta ad indicare la prassi, incredibilmente diffusa, di presentarsi al lavoro anche quando si è malati e quindi non al meglio delle proprie capacità. Al contrario del suo più famoso cugino, l’assenteismo, questo fenomeno di nuova definizione sembrerebbe costare molto di più alle casse dei datori di lavoro di quanto non faccia il primo. Questo perché è chiaro quando qualcuno non si presenta al lavoro e quali “mancanze” ne conseguono, ma quando qualcuno si presenta al lavoro seppur malato (che si tratti di una condizione cronica o di una semplice influenza) non è chiaro quanto questo malessere influisca sulla sua capacità produttiva.
I costi nascosti di questo assenteismo inverso, che ad un primo impatto potrebbero sembrare irrisori, sono invece molto più alti di quelli causati da una breve assenza del lavoratore malato. Immaginatevi di essere in ufficio, avete mal di testa, gli occhi bruciano guardando lo schermo del computer e il corpo è dolorante, un po’ intorpidito – classici sintomi influenzali – e mentre cercate un modo per svolgere il vostro lavoro attraverso questa nebbia, riuscite si e no a rispondere a qualche mail e qualsiasi piccola richiesta o deviazione dall’ordinario vi provoca fastidio e un’immensa fatica. La capacità lavorativa, la produttività e l’efficienza, sono le stesse di quando siete in forma? Mi sembra semplice che l’unica opzione sia una risposta negativa.
Burnout
Nel 2018 la World Health Organization (WHO) ha inserito il burnout nella revisione nr. 11 dell’ICD (International Classification of Diseases) definendola come una sindrome risultante da uno stress lavorativo cronico che non è stato adeguatamente trattato. Il burnout è caratterizzato da carenza di energie, sensazione di essere esausti, sentimenti negativi o di distacco nei confronti del proprio lavoro e diminuzione
della propria efficienza lavorativa. Attraverso questa dettagliata definizione, l’organizzazione mondiale della sanità voleva chiarire una volta per tutte che il burnout non è una patologia individuale, quanto più un fenomeno legato all’ambiente di lavoro.
A tal proposito, alcuni ricercatori della Stanford University hanno effettuato uno studio sull’impatto che lo stress lavoro correlato ha sulle spese mediche – ricordiamo che negli Stati Uniti l’assistenza sanitaria è privata e spesso viene inserita come benefit nei contratti di lavoro – e sulla mortalità nel paese: $190 miliardi e 120.000 morti ogni anno sono i numeri che emergono dalla ricerca.
A livello globale, uno studio della WHO stima che 615 milioni di persone soffrano di ansia e depressione e che queste impattino sulla produttività per un importo pari ad $1 trilione all’anno in perdita di produttività.
Come se questo non bastasse, è stato registrato come le organizzazioni prive di un sistema adatto a supportare il benessere dei lavoratori registrino un elevato tasso di turnover, una bassa produttività e altissimi costi sanitari.
Il Global Wellness Institute stima che il malessere sul lavoro pesi per il 10/15% sul PIL: sono sempre più numerosi i lavoratori che percepiscono forti pressioni e mentre le malattie croniche come il diabete, l’obesità e malattie cardiovascolari sono in costante aumento.
Questi sono solo alcuni hidden catch che nell’ambiente lavorativo possono influire negativamente sul benessere dei lavoratori, sulla loro capacità produttiva e innovativa e, di conseguenza, sui costi che l’azienda sostiene.
Bisogna quindi prestare molta attenzione all’ambiente di lavoro che si desidera creare e lavorare costantemente per mantenerlo più sano e attento possibile alle mutevoli esigenze della forza lavoro che oggi richiede sempre maggiore attenzione al suo benessere psico-fisico, all’equilibrio tra vita lavorativa e privata, sempre più attenta a ciò che l’ambiente di lavoro può offrire in termini di crescita, di possibilità di esprimere al meglio le proprie capacità, ai valori che vuole trasmettere.
Come poco più di un secolo fa i lavoratori chiedevano tutela da infortuni, malattie, previdenza sociale in caso di perdita di capacità lavorativa, luoghi di lavoro più sicuri e attenti ai pericoli insiti nell’attività – prevalentemente manuale – nel nuovo millennio l’attenzione si è gradualmente spostata, focalizzandosi ora più sul benessere a 360° della forza lavoro. Bisogna quindi prevedere azioni ad ampio spettro, programmi e non solo singole iniziative volte a favorire il benessere e la salute dei lavoratori.
Bisogna insomma prendersi cura, ora più che mai, del proprio capitale umano.