Proleven

Prevenzione Incendi e Valutazione dei Rischi

Un nuovo modo di valutare i rischi

Valutazione dei Rischi e Incarico RSPP

Redazione e Aggiornamento 
del DVR

Valutare i rischi è fondamentale per evitare problemi di salute e sicurezza ai lavoratori.

La valutazione dei rischi viene definita dal Testo unico sulla sicurezza sul lavoro (Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81) come la “valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nei luoghi di lavoro finalizzata a individuare le misure di prevenzione e protezione e ad elaborare il programma delle misure di miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza”.

Gli artt. 28 e 29 specificano poi l’oggetto e le modalità di elaborazione del documento di valutazione dei rischi (DVR).

Un documento di valutazione dei rischi (DVR) completo e conforme alle previsioni dell’art. 28 del D.Lgs. 81/08 deve contenere:

  • l’analisi dell’ambiente di lavoro e dei rischi ivi presenti;
  • l’organigramma aziendale e le funzioni in materia di sicurezza sul lavoro (datore di lavoro, RSPP, ASPP, dirigenti, preposti, addetti alle emergenze, etc.);
  • la valutazione dei rischi per la salute e sicurezza, tra cui ad esempio il rischio chimico, il rischio biologico, il rischio rumore e vibrazioni, i rischi da movimentazione manuale dei carichi e così via;
  • la valutazione dei rischi per categorie di lavoratori particolarmente esposti (lavoratori minori, lavoratrici madri, lavoratori con contratti atipici, lavoratori notturni);
  • lo stato della formazione in materia di sicurezza sul lavoro delle varie figure del sistema aziendale della prevenzione ed i relativi programmi formativi e di addestramento;
  • un elenco di procedure di lavoro messe a punto per garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori;
  • i criteri adottati dall’azienda per la scelta delle attrezzature di lavoro e dei Dispositivi di Protezione Individuale (D.P.I.);
  • il programma di miglioramento dei livelli di sicurezza in azienda, ovvero l’indicazione dei tempi previsti per l’attuazione delle misure di miglioramento individuate;
  • l’eventuale necessità di visite mediche di sorveglianza sanitaria individuate in collaborazione con il medico competente in relazione ai rischi di ogni mansione.

Il DVR deve inoltre essere mantenuto aggiornato nel tempo: deve in particolare essere sottoposto a revisione a seguito di modifiche nell’organizzazione e nei processi aziendali, dell’introduzione di nuove attrezzature e rischi e, nel caso di alcuni rischi specifici, entro scadenze temporali stabilite dal D.Lgs. 81/08.

Per rumore si intende un suono che provoca una sensazione sgradevole, fastidiosa o intollerabile.

Il principale rischio derivante dall’esposizione prolungata al rumore è l’ipoacusia, ovvero la progressiva diminuzione – che può terminare con la totale perdita – della capacità uditiva. L’ipoacusia è una delle malattie professionali ancora oggi più diffuse in Italia e nel mondo, ma non è la sola conseguenza dell’esposizione prolungata al rumore, che si configura come un agente complesso, in grado di interferire – mediante attivazione o inibizione di sistemi neuroregolatori centrali o periferici – anche su altri organi ed apparati, tra cui quello cardiovascolare, endocrino, il sistema nervoso centrale e non solo.

Il rumore determina inoltre disturba le comunicazioni verbali e limita la percezione dei segnali acustici di sicurezza (con un conseguente aumento di probabilità degli infortuni sul lavoro), favorisce l’insorgenza di un senso di affaticamento mentale, diminuisce l’efficienza e la produttività nel lavoro, provoca turbe dell’apprendimento ed interferenze nel sonno.

La valutazione del rischio rumore può essere effettuata:

  • tramite “giustificazione” per livelli di rischio molto contenuti (es. ristoranti, negozi di vendita al dettaglio, uffici, etc.): in questo caso non si procede ad una rilevazione strumentale in quanto si è ragionevolmente certi che il livello di rumore nell’ambiente di lavoro non superi mai i limiti di legge;
  • tramite misurazioni fonometriche, quando il livello di rumore non risulta sufficientemente basso da poter escludere un rischio significativo. In questo caso, le valutazioni strumentali del rumore devono essere effettuate da personale esperto, nel pieno rispetto di quanto stabilito dal D.Lgs. 81/08 e dalle norme tecniche. Una volta effettuata la rilevazione nel luogo di lavoro, occorre elaborare la relazione di valutazione del rischio, che prenderà in considerazione i calcoli emersi per determinare il livello di esposizione giornaliero al rischio per ogni mansione presente.

Le vibrazioni vengono definite come oscillazioni meccaniche rispetto ad un punto di riferimento, determinate da onde di pressione che si trasmettono attraverso corpi solidi; le oscillazioni caratteristiche delle vibrazioni possono essere libere o forzate, ossia influenzate da una forza esterna come nel caso dell’utilizzo di strumenti da parte di un lavoratore.

La valutazione del rischio vibrazioni richiede di analizzare tutte le attività lavorative che hanno il potenziale di sollecitare il sistema “mano-braccio” e il sistema “corpo intero”.

La valutazione del rischio avviene prendendo in considerazione l’intensità delle vibrazioni trasmesse al lavoratore (tramite dati di letteratura e/o misurazioni strumentali), il tempo e le condizioni di esposizione, per pervenire ad un calcolo che indichi con chiarezza il livello di esposizione giornaliera per ogni mansione.

A seconda del fatto che si tratti di vibrazioni al sistem mano-braccio o vibrazioni che interessano il corpo intero, la valutazione del rischio dovrà essere effettuata in conformità alla UNI EN ISO 5349 “Vibrazioni meccaniche – Misurazione e valutazione dell’esposizione dell’uomo alle vibrazioni trasmesse alla mano” e alla ISO 2631-1 “Mechanical vibration and shock – Evaluation of human exposure to whole-body vibration General requirements”.

Rischio Rumore e Vibrazioni

Movimentazione
Manuale dei Carichi (MMC)

Con il termine movimentazione Manuale dei Carichi (MMC) si intendono tutte le attività che consistono nel sollevare, deporre, spingere, tirare, portare o spostare un carico.

Le malattie professionali derivanti da errata movimentazione dei carichi o movimenti ripetitivi sono tuttora tra le più diffuse a livello internazionale. Spesso i lavoratori che effettuano operazioni frequenti di sollevamento in maniera errata soffrono di vari disturbi all’apparato muscolo-scheletrico, in particolare a danno del rachide lombare, ma possono incorrere anche in livelli di rischio aumentati per ustioni, ferite, inciampo e conseguenti fratture e contusioni varie.

Nell’ambito del Testo Unico in materia di sicurezza sul lavoro D.Lgs. 81/08, il rischio per la salute deve essere valutato relativamente alle azioni di sollevamento, di traino/spinta ed infine in relazione ai movimenti ripetuti o ripetitivi.

L’art. 168 stabilisce che il Datore di Lavoro deve valutare, se possibile anche in fase di progettazione del luogo di lavoro, le condizioni di sicurezza e di salute connesse alle attività lavorative di movimentazione manuale dei carichi.

Per effettuare la valutazione dei rischi il Datore di Lavoro può fare riferimento alle norme tecniche, alle buone prassi ed ai metodi riconosciuti a livello internazionale, tra cui le norme UNI ISO 11228-3, ISO TR 12295, ISO 11226, il metodo NIOSH, il metodo OCRA e il metodo Snook e Ciriello.

In generale occorre considerare il peso movimentato (nonché la sua forma e le sue dimensioni), la distanza dell’oggetto dal corpo, l’altezza delle mani durante l’attività di movimentazione, la frequenza delle azioni di movimentazione ed il tempo di esposizione. Tali dati, raccolti tramite osservazione dei lavoratori nello svolgimento delle attività lavorative e/o con l’utilizzo di strumenti specifici come il dinanometro, confluiscono nelle tabelle di calcolo dell’esposizione che definiscono l’indice di rischio per ogni mansione.

La norma ISO 11226 considera inoltre i fattori derivanti da posture incongrue a carico di testa, tronco, arti, collo e piedi, anche in condizioni di assenza di movimentazione manuale dei carichi, compresi testa, collo, tronco, arti inferiori e piedi.

La stessa norma specifica altresì i limiti raccomandati per le posture di lavoro statiche, che possono essere causa anch’esse di malessere del sistema muscolo-scheletrico e necessitano di particolari accortezze.

Al riguardo il D.Lgs. 81/08 , pur non prevedendo uno specifico titolo per il rischio posturale, indica nelle “Misure generali di tutela” art. 15 comma 1 lett. d) il “rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro, nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, in particolare alla fine di ridurre gli effetti sulla salute del lavoro monotono e di quello ripetitivo”.

Al fine di evitare infortuni sul lavoro, l’utilizzo in sicurezza delle macchine e delle attrezzature di lavoro è un aspetto fondamentale in tema di sicurezza sul lavoro.

La legislazione in vigore prevede una serie di requisiti di sicurezza a cui i macchinari devono conformarsi: è obbligo del datore di lavoro garantire tale conformità e mantenerla nel tempo con idonei programmi di manutenzione e controllo periodico.

In generale, le macchine presenti in azienda devono essere conformi:

  • a specifiche disposizioni legislative e regolamentari di recepimento di direttive europee (ad es. la Direttiva Macchine o altre specifiche);
  • ai requisiti generali di sicurezza indicati nell’Allegato V del D. Lgs. 81/08per le macchine costruite in assenza delle disposizioni legislative indicate nel punto precedente.

Per attestare la conformità della macchina alle specifiche normative viene apposta la marcatura CE: questo è l’atto formale con il quale il costruttore, il fornitore o l’importatore di una macchina attesta la conformità della stessa ai requisiti indicati nella normativa vigente applicabile (in particolare la c.d. “Direttiva Macchine”).

Più complesso è il caso in cui la macchina non sia marcata CE: in questo caso, che si può verificare anche quando la macchina è stata costruita prima dell’entrata in vigore della Direttiva Macchine, la verifica di conformità della macchina ai requisiti di sicurezza è un obbligo a carico del Datore di Lavoro.

Occorrerà quindi procedere ad una valutazione specifica della macchina per identificare eventuali lacune rispetto ai requisiti di cui all’Allegato V del D. Lgs. 81/08. In una seconda fase, sarà compito del datore di lavoro provvedere alla messa in sicurezza di eventuali macchine non conformi, ad esempio tramite l’installazione di dispositivi di sicurezza e protezioni.

Rischio Macchine
e Attrezzature
di Lavoro

Lo Stress
Lavoro Correlato
(SLC)

Lo stress derivante dal lavoro e dall’ambiente lavorativo è oggetto di crescente attenzione da parte degli organismi di vigilanza e controllo e sta assumendo un ruolo sempre più importante a livello europeo ed internazionale.

La legislazione in vigore prevede una serie di requisiti di sicurezza a cui i macchinari devono conformarsi: è obbligo del datore di lavoro garantire tale conformità e mantenerla nel tempo con idonei programmi di manutenzione e controllo periodico.

In generale, le macchine presenti in azienda devono essere conformi:

  • a specifiche disposizioni legislative e regolamentari di recepimento di direttive europee (ad es. la Direttiva Macchine o altre specifiche);
  • ai requisiti generali di sicurezza indicati nell’Allegato V del D. Lgs. 81/08per le macchine costruite in assenza delle disposizioni legislative indicate nel punto precedente.

Per attestare la conformità della macchina alle specifiche normative viene apposta la marcatura CE: questo è l’atto formale con il quale il costruttore, il fornitore o l’importatore di una macchina attesta la conformità della stessa ai requisiti indicati nella normativa vigente applicabile (in particolare la c.d. “Direttiva Macchine”).

Il Testo Unico della Sicurezza D.Lgs. 81/08 prevede che la valutazione dello stress lavoro-correlato sia effettuata nel rispetto delle indicazioni elaborate dalla Commissione Consultiva Permanente per la Salute e Sicurezza sul Lavoro che, in data 18/11/2010, ha emanato una lettera circolare in ordine alla approvazione delle indicazioni necessarie alla valutazione del rischio da stress lavoro correlato.

In linea generale il processo di valutazione del rischio si articola in più fasi:

  1. identificazione dei pericoli;
  2. scelta di gruppi omogenei di lavoratori in grado di rappresentare il sentimento dell’intera forza lavoro (la scelta deve essere operata in base a criteri oggettivi e puntualmente identificati);
  3. stima del rischio attraverso la valutazione preliminare/semplificata e valutazione approfondita (in questo caso è bene prevedere momenti di comunicazione al personale coinvolto per spiegare con chiarezza l’obiettivo della valutazione e le modalità del loro coinvolgimento);
  4. adozione di eventuali misure di miglioramento per ridurre il rischio e monitorare nel tempo il livello di stress, in base all’esito del processo di valutazione nella sua interezza.

La valutazione del rischio fulminazione prevede la presa di misure necessarie affinché i lavoratori siano salvaguardati dai rischi di fulminazione diretta e indiretta.

La valutazione dei rischi presenti sul luogo di lavoro è obbligatoria ai sensi dell’’art. 17 del D.Lgs. 81/08: il datore di lavoro è tenuto ad effettuare tale valutazione e ad elaborare il documento di valutazione dei rischi (DVR) previsto dall’art. 28 dello stesso decreto.

Nella famiglia dei rischi di natura elettrica troviamo anche il rischio di fulminazione – diretta e indiretta – trattato nel Capo III del Titolo III del D.Lgs. 81/08.

La norma CEI EN 62305-2 (CEI 81-10/2) stabilisce la modalità per effettuare la stima del rischio dovuto a tutti i possibili effetti del fulmine su un edificio e/o su un impianto e prevede una specifica procedura di calcolo. La stessa norma definisce poi il rischio di fulminazione tollerabile (RT) come il massimo valore di rischio che può essere tollerato dalla struttura.

La valutazione del rischio fulminazione effettuata secondo la norma CEI EN 62305-2 (CEI 81-10/2) può portare a due conclusioni:

  1. se il rischio fulminazione, calcolato per la specifica struttura, risulta minore del rischio tollerabile (RT), non è necessario procedere all’installazione di sistemi di protezione contro il fulmine e la struttura si definisce “auto protetta”;
  2. se invece il rischio fulminazione totale calcolato risulta maggiore del rischio tollerabile RT, dovranno essere adottate idonee misure di protezione quali ad esempio captatori, gabbie di Faraday, scaricatori, etc.

La valutazione del rischio fulminazione è parte integrante del documento di valutazione dei rischi (DVR) di cui il datore di lavoro deve dotarsi, in accordo con le prescrizioni del D.Lgs. 81/08 ed in particolare dell’art. 80, che impone di effettuare una valutazione del rischio di fulminazione diretta e indiretta.

L’applicazione della procedura di valutazione del rischio fulminazione è complessa ed articolata e richiede specifiche competenze tecniche, nonché esperienza in materia.

Rischio 
Fulminazione

Rischio
Esplosione

Il Rischio Esplosione è normalmente associato ad eventi disastrosi, che provocano danni ingenti: le esplosioni determinano crolli nelle strutture e infortuni gravi – se non mortali – per i lavoratori.

La Direttiva Europea 1999/92/CE del 16 dicembre 1999 indica le prescrizioni minime per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori esposti al rischio di atmosfere potenzialmente esplosive.

Inizialmente recepita con il D.Lgs. 233/2003, la Direttiva attualmente è richiamata nel Titolo XI “Protezione da atmosfere esplosive” del D.Lgs. 81/08 (artt. dal 287 al 297).

Si tratta di una miscela di sostanze infiammabili – allo stato di gas, vapori, nebbie o polveri – con l’aria, in cui, dopo l’accensione, la combustione si propaga all’insieme della miscela incombusta (art. 288, D. Lgs. 81/08). All’interno di un luogo di lavoro possono essere presenti sostanze combustibili e/o infiammabili miscelate con l’aria nelle giuste proporzioni – per via dello stesso processo produttivo o a causa di eventi accidentali. Se ciò si verifica, si è in una situazione di possibile presenza di atmosfere esplosive.

Tra le attività potenzialmente soggette al rischio esplosione, e quindi alle disposizioni del Titolo XI del D.Lgs. 81/08, rientrano:

  • Stoccaggi di carburante gassoso, liquido, solido;
  • Depositi di gas naturale o di GPL;
  • Distillerie, industrie di produzione di alcolici e di profumi;
  • Aziende che effettuano stoccaggio e lavorazione di cereali, farine, zucchero;
  • Falegnamerie e altre aziende di lavorazione del legno;
  • Imprese che effettuano produzione e stoccaggio di vernici o smalti;
  • Industrie farmaceutiche, metallurgiche, del settore tessile;

In relazione alle atmosfere esplosive il datore di lavoro è soggetto a specifici obblighi. L’art. 289 del D.Lgs. 81/08 prescrive che per prevenire le esplosioni il datore di lavoro deve adottare – sulla base della valutazione dei rischi e considerata la classificazione delle aree con rischio di esplosione – le misure tecniche e organizzative adeguate alla natura dell’attività svolta.

Qualora l’attività non consenta di prevenire la formazione di atmosfere esplosive, egli deve evitare l’accensione di atmosfere esplosive ed attenuare i danni di un’eventuale esplosione.

L’art. 290 inoltre richiede al datore di lavoro di effettuare un’accurata valutazione ATEX ed elaborare ed aggiornare regolarmente il “documento sulla protezione contro le esplosioni” (art. 294 del D.Lgs. 81/08). All’interno di tale documento vengono riportate una serie di indicazioni, tra cui in particolare:

  • Le tipologie di rischi di esplosione individuati e valutati;
    Le idonee misure adottate dall’azienda per raggiungere gli obiettivi del Titolo XI del Lgs. 81/08;
  • I luoghi di lavoro e la relativa classificazione secondo l’allegato XLIX;
  • I luoghi in cui si applicano le prescrizioni minime di cui all’allegato L.

All’interno del documento viene inoltre indicato che i luoghi e le attrezzature di lavoro, compresi i dispositivi di allarme, sono concepiti, impiegati e mantenuti in efficienza tenendo nel debito conto la sicurezza dei luoghi e delle persone e che sono stati adottati opportuni accorgimenti per l’impiego sicuro di attrezzature di lavoro.

Il “documento sulla protezione contro le esplosioni” fa seguito ad una completa valutazione ATEX ed è a tutti gli effetti parte integrante del documento di valutazione dei rischi (DVR) di cui all’art. 17 del D.Lgs. 81/08.

Il Titolo III del D. Lgs. 81/08 introduce espressamente l’obbligo di valutazione del rischio elettrico, specificandone i criteri e identificando apposite misure di sicurezza, anche con riferimento alla “pertinente normativa tecnica” – le norme CEI 11-27 EDIZIONE IV del 2014 e CEI 50110-1 EDIZIONE III del 2014.

L’art. 80 al comma 2 pone a carico del datore di lavoro l’obbligo di effettuare la valutazione dei rischi di natura elettrica connessi alla presenza di impianti e apparecchi elettrici, tenendo in considerazione tre aspetti principali:

  • Condizioni e caratteristiche specifiche del lavoro (comprese le eventuali interferenze ed i rischi interferenti che ne potrebbero derivare);
  • I rischi elettrici presenti nel luogo di lavoro;
  • Tutte le condizioni di esercizio prevedibili degli impianti ed apparecchi elettrici.

Prima di procedere alla valutazione del rischio, è però fondamentale effettuare una verifica di conformità e rispondenza degli impianti elettrici ai requisiti di legge. Ciò consiste nell’accertarsi che la realizzazione degli stessi sia avvenuta secondo la “regola dell’arte”. Tale verifica deve essere svolta prima della valutazione del rischio in quanto premessa fondamentale, in mancanza della quale si determina sin da subito una condizione di rischio inaccettabile per la salute e sicurezza dei lavoratori.

Nello specifico è compito del datore di lavoro e del servizio di prevenzione e protezione:

  • accertarsi che l’impianto elettrico sia progettato ed installato a regola d’arte, verificando la documentazione di progetto e le dichiarazioni di conformità rilasciate dagli installatori (in caso di assenza della dichiarazione di conformità, occorrerà prevedere un’apposita perizia tecnica volta al rilascio della dichiarazione di rispondenza);
  • accertarsi che l’edificio in cui ha sede l’azienda risulti protetto dalle scariche atmosferiche ovvero dotato di idonei sistemi di protezione;
  • garantire che l’impianto sia sottoposto a regolare manutenzione periodica, stabilendo un programma di controlli predisposto alla luce delle disposizioni legislative, delle indicazioni contenute nei manuali d’uso e manutenzione delle utilizzate e di quelle indicate nelle pertinenti norme tecniche;
  • sottoporre l’impianto elettrico alle verifiche periodiche della messa a terra, registrate tramite apposito verbale rilasciato dall’organismo notificato incaricato del controllo.

Una volta stabilito che l’impianto è stato realizzato conformemente alle disposizioni in vigore e che è regolarmente soggetto a controlli e manutenzioni periodiche, occorrerà concentrarsi sulla valutazione del rischio residuo, ovvero quel rischio che comunque permane anche in presenza delle premesse citate.

L’entità del rischio cui sono sottoposti i lavoratori che impiegano l’impianto e le apparecchiature elettriche è profondamente diversa da quella dei lavoratori “addetti ai lavori elettrici”, ovvero coloro i quali effettuano, ad esempio, attività di manutenzione sugli impianti. 

Nel caso dei meri utilizzatori, il datore di lavoro dovrà mettere a disposizione impianti ed attrezzature conformi alle norme applicabili e prevedere idonee misure di prevenzione e protezione dal rischio, tra cui in primis l’informazione e formazione del lavoratore sui concetti basilari del rischio elettrico.

Nel caso invece dei c.d. “addetti ai lavori elettrici”, occorrerà definire puntualmente l’ambito di operatività del lavoratore e prevedere formazione ed addestramento specifici e decisamente più approfonditi in merito al rischio elettrico. Il datore di lavoro dovrà inoltre fornire idonei DPI dotati delle marcature previste, al fine di limitare al minimo il rischio cui è sottoposto il lavoratore nell’espletamento della sua attività quotidiana.

Per i lavoratori addetti ai lavori elettrici il datore di lavoro dovrà effettuare la valutazione del rischio e la conseguente scelta di idonee misure di sicurezza, riferendosi alle indicazioni rintracciabili nelle norme CEI 50110-1 e CEI 11-27.  

Quest’ultima norma, nella sua IV Edizione, introduce nuove e specifiche figure professionali: la Persona o Unità Responsabile dell’impianto elettrico (URI) e la Persona o Unità Responsabile della realizzazione del Lavoro (URL).

Il Datore di Lavoro dovrà quindi non solo valutare i rischi, ed in particolare il Rischio Elettrico ai sensi dell’art. 80 del D.Lgs. 81/2008, individuando precise procedure di lavoro in sicurezza, ma anche assegnare precisi ruoli e responsabilità ai soggetti che rivestiranno queste funzioni, con evidenti compiti organizzativi e di supervisione nell’esecuzione di lavori elettrici, che dovranno svolgersi, come previsto dal Titolo III del D.

gs. 81/08, in conformità alla normativa vigente. Tali soggetti (URI, URL, RI, PL) dovranno ricevere una formazione adeguata al ruolo: l’URI, se coincide con il Responsabile dell’Impianto per i lavori (RI), deve essere una PES (Persona Esperta) e così anche l’URL, se identificata in una persona, deve essere necessariamente Persona Esperta.

Come previsto dalla norma CEI del 2014, il datore di lavoro è tenuto ad attribuire per iscritto ai lavoratori addetti ai lavori elettrici la qualifica necessaria per operare sugli impianti: tale qualifica può essere di persona esperta (PES), persona avvertita (PAV) ed idonea ai lavori elettrici sotto tensione (PEI). La norma CEI 11-27 fornisce quindi sia prescrizioni che linee guida al fine di individuare i requisiti minimi di formazione, in termini di conoscenze tecniche, di normativa e di sicurezza, nonché di capacità organizzativa e d’esecuzione pratica di attività nei lavori elettrici, che consentono di acquisire, sviluppare e mantenere la capacità delle persone esperte, avvertite e/o idonee ad effettuare in sicurezza lavori sugli impianti elettrici.

Nell’effettuare la valutazione del rischio elettrico per i lavoratori addetti ai lavori elettrici, il datore di lavoro ed il servizio di prevenzione e protezione dovranno pertanto porsi i seguenti quesiti:

  • I lavoratori sono formati e addestrati all’effettuazione di lavori elettrici secondo la norma CEI 11-27?
  • I lavoratori addetti ai lavori elettrici sono formalmente qualificati ai sensi della norma CEI 11-27 dal datore di lavoro per le specifiche attività effettivamente svolte?
  • Sono state fornite ai lavoratori precise procedure di lavoro, conformi alla normativa? Tali procedure vengono rispettate?
  • I lavoratori addetti ai lavori elettrici sono dotati ed addestrati ad utilizzare attrezzature di lavoro e dispositivi di protezione individuali idonei e regolarmente verificati?

Rischio Elettrico

Radiazioni 
Ottiche Artificiali 
(ROA)

L’eccessiva esposizione a radiazioni ottiche mette a rischio la salute dell’uomo e principalmente l’occhio e la cute, ai danni dei quali può provocare ustioni e fotosensibilizzazione.

Dall’aprile 2010 è in vigore l’obbligo di valutare il rischio da radiazioni ottiche artificiali (ROA): il Capo V del Titolo VIII del D.Lgs. 81/08 ne stabilisce i criteri specifici.

Il campo di applicazione del Capo V è vasto, in quanto al suo interno vengono prese in considerazione tutte le radiazioni ottiche artificiali che presentano lunghezza d’onda compresa tra 100 nm e 1 mm, ovvero l’intero spettro compreso tra le radiazioni ultraviolette (UVA, UVB e UVC) e le radiazioni infrarosse (IR).

In buona sostanza le radiazioni ottiche di cui al D.Lgs. 81/08 comprendono le componenti dello spettro elettromagnetico di lunghezza d’onda minore del campo elettromagnetico e maggiore delle radiazioni ionizzanti.

Il rischio da radiazioni ottiche artificiali è piuttosto diffuso, in quanto numerose sono le sorgenti artificiali di radiazioni ottiche che possono essere presenti nei luoghi di lavoro, in alcuni comparti produttivi con maggiore frequenza e diffusione rispetto ad altri.

Suddividendo le tipiche sorgenti di radiazioni ottiche artificiali (ROA) in base allo spettro di emissione, oltre all’ampia gamma di lampade per l’illuminazione che emettono radiazioni ottiche principalmente nello spettro del visibile (esempi tipici sono le lampade al mercurio o a LED), esistono lampade ad UVB-UVA per l’abbronzatura o la fototerapia o ancora lampade ad UVA per la polimerizzazione e l’essicazione di inchiostri.

Altri esempi tipici di sorgenti di radiazioni ottiche artificiali sono la saldatura dei metalli o altre attività di taglio, per esempio al plasma, nonché i forni di fusione (specie nel caso del metallo e del vetro).

Il laser (Light Amplification by Stumulated Emission of Radiation) costituisce invece un tipico esempio di radiazione ottica artificiale coerente.

La valutazione del rischio da radiazioni ottiche artificiali viene effettuata ricorrendo allo spettroradiometro o radiometro a banda larga ed è diretta a verificare il rispetto dei valori limite di esposizione riportati nell’allegato XXXVII, sia per le radiazioni ottiche artificiali incoerenti che per le radiazioni ottiche artificiali coerenti (laser).

La valutazione dei rischi derivanti dalle radiazioni ottiche artificiali deve inoltre prendere in considerazione la durata di esposizione alle radiazioni, i casi di lavoratori particolarmente esposti e le interazioni che si possono verificare in caso di presenza simultanea sul luogo di lavoro di radiazioni ottiche artificiali e sostanze chimiche fotosensibilizzanti.

In caso di mancata effettuazione della valutazione del rischio da ROA, è prevista la pena dell’arresto da tre a sei mesi o un’ammenda da 2.500 a 6.400 euro in capo al datore di lavoro e al dirigente che non abbiano ottemperato all’obbligo normativo.

I campi elettromagnetici sono presenti ovunque nell’ambiente, generati sia da sorgenti naturali sia da sorgenti artificiali.

I campi elettromagnetici si propagano sotto forma di onde elettromagnetiche, per le quali viene definito un parametro, detto frequenza (Hz), che indica il numero di oscillazioni che l’onda elettromagnetica compie in un secondo. L’unità di misura della frequenza è l’Hertz (1 Hz = una oscillazione al secondo).

La frequenza di oscillazione permette di distinguere i campi elettromagnetici in:

  • elettrici e magnetici statici (0 Hz);
  • elettrici e magnetici a frequenze estremamente basse (fino a 300 Hz);
  • elettromagnetici a frequenza intermedia (300 Hz – 10 MHz);
  • campi elettromagnetici a radiofrequenza e microonde (10 MHz – 300 GHz).

Il datore di lavoro è tenuto ad effettuare la valutazione del rischio per la salute e sicurezza dei propri lavoratori esposti a campi elettromagnetici secondo i criteri individuati nel Testo Unico D. Lgs. 81/08.

È infatti riconosciuto che i campi elettromagnetici determinano effetti sull’uomo per esposizioni “acute”. Al riguardo, la Direttiva 2013/35/CE del 26 giugno 2013 indica le prescrizioni minime di salute e sicurezza relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dai campi elettromagnetici, con particolare riferimento alle radiazioni elettromagnetiche di frequenza da 0 Hz a 300 GHz.

I campi elettromagnetici sono presenti ovunque nel nostro ambiente, ma sono invisibili all’occhio umano; sono attribuibili al naturale fondo terrestre o ad eventi naturali come la caduta di un fulmine oppure possono essere generati dalle sorgenti artificiali create dall’uomo, come ad esempio gli impianti radiotelevisivi o per le trasmissioni telefoniche, gli impianti utilizzati per il trasporto e la trasformazione dell’energia elettrica, nonché tutti quei dispositivi che funzionano con corrente elettrica.

Solo di recente la comunità scientifica ha cominciato a studiare i possibili effetti nocivi dei campi elettromagnetici, distinguendo effetti di natura acuta (a breve termine) che si manifestano solo al di sopra di determinati livelli di esposizione, ed effetti di natura cronica (conseguenza di un’esposizione a campi elettromagnetici bassi, ma per periodi prolungati).

Nei luoghi di lavoro possono essere presenti diverse tipologie di sorgenti artificiali di campi elettromagnetici, ed è per questo che il datore di lavoro è tenuto ad impegnarsi alla valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza.

Generalmente si considerano non pericolose le esposizioni inferiori ai livelli di riferimento per la popolazione di cui alla raccomandazione europea 1999/519/CE. In linea con questa definizione, sono condizioni di esposizione giustificabili quelle derivanti dalle attrezzature e dalle situazioni elencate nella Tabella 1 della Norma tecnica CEI EN 50499.

Tale norma riporta anche l’elenco di impianti e condizioni che richiedono una valutazione approfondita attraverso misurazioni e calcoli dei livelli dei campi elettromagnetici. Tra queste si ricordano le attività di saldatura, gli impianti di riscaldamento a induzione, i trasporti azionati elettricamente.

Le norme tecniche di riferimento per la misura e il calcolo dei livelli dei campi elettromagnetici sono attualmente la norma CEI 211-6 (2001-01) “Guida per la misura e per la valutazione dei campi elettrici e magnetici nell’intervallo di frequenza 0 Hz 10 kHz, con riferimento all’esposizione umana” e la norma  CEI 211-7 (2001-01) “Guida per la misura e per la valutazione dei campi elettrici e magnetici nell’intervallo di frequenza 10 kHz – 300 GHz, con riferimento all’esposizione umana”.

Queste, unitamente alla Norma CEI EN 50499 “Procedura per la valutazione dell’esposizione dei lavoratori ai campi elettromagnetici”, forniscono le indicazioni per la redazione del documento di valutazione dei rischi da campi elettromagnetici.

Campi 
Elettromagnetici 
(CEM)

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